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La mia memoria

Arrivare allora (1970) in Sardegna bisognava possedere il buon umore degli alpinisti, comprendere e sentire l’ambiente, gli aspetti di un paesaggio vario e ricco di profumi.
La nostra casa circondata da alberi da frutto, da ulivi, mirti, querce, aranci, limoni, dietro aveva a protezione una collina, che si profilava nel cielo, mentre davanti si apriva la vista sul mare.
La mattina era il risveglio per tutti, nell’orto c’era il via vai di chi raccoglieva zucchine, cetrioli, peperoni, mentre io mi occupavo dei pomidoro, piselli e fagiolini.
Il papà provvedeva alle insalate e al basilico; in quelle ore mattutine eravamo tutti tranquilli, la cucina nei periodi estivi, diventava il laborato- rio che trasformava al meglio questi prodotti freschi che la terra ci rega- lava.
Se l’animo era l’orto, il cuore era la cucina, il portico con un tavolone di 7,8 mt , poteva ospitare dalle 30 alle 40 persone ed era il fulcro da dove è iniziato il progetto LA GIACOMA.
L’aspetto della tavola, il sapore del cibo, l’abbondanza e la qualità determinavano l’anima dei commensali, che attraverso le loro origini di- verse riuscivano a contaminare i vari piatti.
Nonna Nella con il suo minestrone, fatto rigorosamente con le tagliatelle e la “mescola”, Gina, l’amica fidata , produceva in piena estate anche 100 bomboloni, fritture di pesce, il porceddu che scoppiettava nel gran- de camino esterno, occupava mio padre per ore ed ore come fosse da- vanti agli altiforni.